Il Territorio

Un marchio a tutela e sicurezza delle tre zone: Bronte, Adrano e Biancavilla ove avviene la produzione del “Pistacchio Verde” di Bronte nel rispetto della totale tipicità. La zona di produzione del "Pistacchio Verde di Bronte", ricade nel territorio dei comuni di Bronte, Adrano, Biancavilla (Provincia di Catania). In particolare i confini sono così individuati:
Bronte - ad Ovest lungo il fiume Simeto, ad Est con la ferrovia Circumetnea e comunque fino a quota 900 m s.l.m., a Sud con il Comune di Adrano ed a Nord lungo la strada Bronte -Cesarò;
Adrano - a Nord con il confine del Comune di Bronte, a Sud con il centro abitato e la S.S. 121 ed a Est con la lava "Grande" del 1595 e con il Comune di Biancavilla, ad Ovest lungo il fiume Simeto fino alla summenzionata S.S. 121;
Biancavilla - a Nord con il territorio di Adrano, a Sud con il centro abitato e la S.S. 121, a Est con il confine comunale di S.M. Licodia, ad Ovest con il confine del Comune di Adrano.

Il Comune di Bronte, col suo territorio di 24.990 ettari che si estende da un'altitudine minima di m. 380 ad una massima di m.3.112, è tra i più estesi della provincia di Catania. A Bronte vive una popolazione di circa 20.000 abitanti. L'abitato, ubicato sopra un pendio lavico della zona nord-ovest dell'Etna, domina la valle del Simeto. Da qualunque parte si volga lo sguardo si offrono all'osservatore le immagini della lussureggiante e variegata campagna siciliana, che, senza soluzione di continuità, si proietta, assolata e quieta, verso il cielo.

Il territorio di Bronte è sicuramente uno dei più singolari tipi naturali, soprattutto in considerazione della sua variegata produzione agricola. Ulivi, aranci, siepi di fichi d'India, mandorli, castagni, noccioli, viti, peri e pistacchi convivono su un suolo contraddistinto da terre vulcaniche e argillose. Anche dove successive eruzioni hanno ricoperto il territorio di dura roccia lavica, i contadini brontesi, sfruttando gli insegnamenti degli antichi dominatori arabi, tramandati da padre in figlio, sono riusciti ad impiantare alberi di pistacchio, che proprio sulla roccia lavica crescono rigogliosi: anzi, proprio in questo habitat, proibitivo per ogni altro tipo di vegetazione, si produce la migliore qualità di pistacchio presente sui mercati mondiali. Non crederemmo neppure che in questi luoghi così ospitali e quieti abbiano impresso le orme gli eserciti di bellicosi popoli, che tante volte hanno bagnato di sangue le nostre terre. Né incute timore il tremendo vulcano, 'l’arciprete in tunica bianca", che, offrendo al paesaggio la sua immagine più maestosa, riesce persino gradevole e piacevolissimo compagno: eppure sovente la sua ira ha devastato i miseri insediamenti dei nostri avi, rubando per sempre alla storia le prime timide manifestazioni di organizzazione civile delle genti etnee.
 

Vuole il mito che il ciclope Bronte, figlio di Nettuno, sia stato il fondatore ed il re della città omonima. Padre Gesualdo De Luca, insigne storico brontese, nella sua opera Storia di Bronte accredita di sana pianta il mito sul palcoscenico della storia, richiamandosi ai celebri versi di Virgilio: Ferrum exercebant vasto Cyclopes in antro, Brontesque Steropesque et nudus membra Pyracmon (En., VIII, 424-25). A prescindere dalle implicite suggestioni poetiche, il mito riesce senz'altro a darci la misura del legame articolato e profondo delle genti etnee con la "muntagna", che è quasi divina, in quanto nel suo ventre vivono i figli di un dio.
 
L"officina divina" presenta le determinazioni più tipiche della religiosità popolare: è madre, in quanto generatrice di quel particolare terreno che conferisce la loro peculiare qualità ai frutti della terra; ma è pure tremendamente ostile (i ciclopi costruiscono nel suo ventre i tuoni del padre Zeus!), quando dalle sue viscere vomita quei fiumi di lava incandescente che bastano a cancellare i frutti di secoli di dura lotta per l'adattamento all'ambiente. Nulla può l'uomo contro la sua forza: l'Etna è come la natura, anzi, coincide con la natura.
 
Benedetto Radice, il secondo (in ordine cronologico) grande storico di Bronte, vissuto in un'epoca in cui più netta appariva la linea di separazione tra il mito e la storia, dedicò la sua vita a "interrogare" documenti e reperti archeologici, fino a quando non riuscì a raccogliere quegli elementi che poi sintetizzò in un'opera che nel campo della storia patria possiamo definire monumentale: Memorie storiche di Bronte.
 
Non i ciclopi, ma i Siculi furono i primi abitatori della zona, intorno all"VIII secolo a. C., come è testimoniato dalla presenza di cellette funebri a forma di forni rinvenute in territorio brontese. Anzi, se dobbiamo prestar fede alla descrizione popolare di alcuni reperti archeologici rinvenuti nei pressi di monte Bolo da ricercatori clandestini, già dal secolo X a. C. i Sicani si erano stabiliti in quella zona, cacciati poi, secondo le notizie tramandate da Diodoro Siculo (Biblioteca Storica, V, 6, 2-4), da una devastante eruzione vulcanica verso la parte centro-occidentale della Sicilia. La verità su questi primi stanziamenti viene gelosamente custodita dal massiccio roccioso di monte Bolo e dal suo cosiddetto "castello", che tetro domina dall'alto gran parte della regione circostante, imprendibile roccaforte dei Siculi contro i ripetuti tentativi di espansione dei Greci sicelioti, avidi di nuove terre da coltivare.
 
Il rinvenimento di reperti archeologici rivela che anche i coloni greci si sono periodicamente stanziati in questi territori. Quindi, di passaggio, vi furono eserciti cartaginesi, siracusani, inamertini e romani. Diventata uno dei principali centri di rifornimento di grano per Roma, la Sicilia, dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, passò a far parte dell'Impero d'Oriente, e certamente le esose imposizioni fiscali di Bisanzio si fecero sentire anche nelle nostre zone. Tra il VII e l'VIII sec. d. C. ebbero inizio le prime incursioni arabe che, divenendo via via più frequenti, sfociarono nel sec. IX nell'occupazione dell'isola. La dominazione araba, se in un primo momento poté apparire una sopraffazione, con l'andare del tempo riuscì a dare buoni frutti e coincise con una brillante ripresa economica della Sicilia, grazie ad innovazioni originali e decisive nell'ambito dell'agricoltura.
 
A Bronte, nell'ostile terreno sciaroso, gli Arabi trapiantarono il pistacchio.

La pianta trae alimento quasi miracolosamente dalla pietra lavica e, bonificata dalla cenere espulsa continuamente dal vulcano, produce la più pregiata qualità di pistacchio.
 
Nel contesto del conflitto tra il mondo cristiano e quello islamico, intrecciantesi con una nuova ondata di invasioni barbariche (che avrebbe portato il Meridione sotto la dominazione normanna), il versante nord-ovest dell'Etna fu teatro di un avvenimento bellico di grandi proporzioni che, insieme ad altri, determinò la cacciata degli Arabi dalla Sicilia.

L'anno 1.040, Bisanzio spediva in Sicilia uno dei suoi valorosi generali, il protospatario Giorgio Maniace, a capo di un esercito composto di truppe bizantine e normanne.

Il protospatario cristiano recava con sé un prezioso dipinto di stile bizantino raffigurante la Madonna (ancora oggi custodito presso la chiesa normanna di Santa Maria di Maniace, annessa al castello dei Nelson).
 
I due eserciti si schierarono lungo le sponde del Saraceno, un affluente del Simeto. Dopo una lunga battaglia i Cristiani ebbero la meglio e cacciarono i Saraceni dalle nostre zone.

A ricordo imperituro della sua vittoriosa impresa Giorgio Maniace faceva costruire un convento nel luogo della battaglia.

Distrutto da un terremoto, la regina Margherita di Navarra, nel 1173, ne edificò un altro più grande e sontuoso.

Nei secoli seguenti, dagli Svevi agli Altavilla, dagli Angioini agli Aragonesi fino ai viceré, fu un susseguirsi di soprusi e pesanti imposizioni fiscali.
 
L'atto di costituzione del Comune di Bronte è datato 1535, quando Carlo V, per rendere più efficace l'esazione fiscale e l'amministrazione della giustizia nelle nostre zone, riunì i 24 casali preesistenti in un'unica università, che denominò "Bronte" (Fidelissima Brontis Universitas). Nel 1636 i soprusi che gli ufficiali di Randazzo esercitavano ai danni della popolazione brontese, in nome di un malinteso diritto di "mero e misto impero", determinarono una rivolta, capeggiata dal dimenticato concittadino Matteo Di Pace, ancora una volta sedata col sangue dei brontesi. Durante la dominazione borbonica, due avvenimenti di grande rilievo: nell'ottobre 1778 veniva ultimata la costruzione del Real"l Collegio Capizzi", uno dei centri culturali più vivi dell'intera Isola, frutto della perseveranza e dedizione del venerabile Ignazio Capizzi; agli albori del XIX sec. un'altra dinastia straniera veniva ad intrecciare i propri interessi con quelli della nostra comunità. Il 10 ottobre 1799, il re di Napoli Ferdinando IV donava l'abbazia di Maniace, con l'annesso territorio, all'ammiraglio Inglese Orazio Nelson, nominandolo "Duca di Bronte", quale ricompensa per l'aiuto ricevuto nella repressione della Repubblica Partenopea.
 
Fu proprio la presenza degli eredi di colui che il nostro Benedetto Radice ha definito "il boia di Caracciolo" una delle cause dell'inasprimento delle tensioni sociali, che sfociarono nei tristemente famosi "Fatti di Bronte del 1860". Quell'anno, infatti, male interpretandosi lo spirito che animava la spedizione di Garibaldi in Sicilia, nei primi giorni di agosto scoppiò in Bronte un tumulto, conclusosi con un aberrante eccidio di “cappelli" (i cittadini di condizione economica più agiata). Garibaldi, più per tutelare gli interessi dei discendenti di Nelson che per ragioni di ordine pubblico, spedì a Bronte uno dei suoi migliori generali: Nino Bixio. La scelta del generale lasciava già presagire il triste epilogo della vicenda. Infatti, in una delle lettere di Bixio alla moglie si legge: "Un tumulto di nuovo genere scoppia a 70 miglia da Messina. Si bruciano le case, si assassinano... Il generale mi spedisce sul luogo... Missione maledetta dove l'uomo della mia natura non dovrebbe mai essere destinato". Garibaldi non poteva scegliere peggio (o meglio, secondo il punto di vista dei timorosi possidenti). Così Giovanni Verga, nella novella Libertà, ispirata appunto a questi avvenimenti, ci descrive Nino Bixio: " ... Veniva a far giustizia il generale, quello che faceva tremare la gente... Il generale fece portare della paglia nella chiesa, e mise a dormire i suoi ragazzi come un padre. La mattina prima dell'alba se non si levavano al suono della tromba, egli entrava nella chiesa a cavallo, sacramentando come un turco. Questo era l'uomo. E subito ordinò che glie ne fucilassero cinque o sei, Pippo, il nano, Pizzanello, i primi che capitarono".
 
Il racconto degli avvenimenti non corrisponde certo alla verità storica, ma il personaggio è quello.

Difatti Bixio, giunto a Bronte, sedava i tumulti senza incontrare resistenza e, arrestati alcuni dei presunti rivoltosi, faceva intervenire la commissione mista di guerra, per celebrare un rapido e sbrigativo processo contro coloro che venivano ritenuti i capi.

Il 9 agosto del 1860, nella piazzetta antistante il convento di San Vito, cinque dei condannati - tra essi un demente - venivano fucilati alla presenza di tutta la popolazione.

Quel giorno, narrano i nostri anziani, i giustiziati furono sei:

insieme ai cinque malcapitati moriva lo spirito battagliero dei brontesi.

Ai giorni nostri, venendo a Bronte, a prima vista sembra impossibile che tutte queste cose siano avvenute in questa placida e rilassata cittadina. Eppure l'occhio attento, scrutando questi luoghi, troverà chiare le tracce dei Siculi, dei Greci e dei Romani; l'orecchio potrà percepire il fragore delle armi bizantine contro la strenue resistenza musulmana; le urla disperate della ribellione del Di Pace contro il sopruso della forza e dell'ingiustizia; il sordo schioppettio dei fucili piemontesi, tragico epilogo di un triste agosto di sangue. Ma, calpestando queste strade ci si potrà imbattere nella preziosa chiesetta di Santa Maria di Maniace, capolavoro dell'architettura normanna, dove, insieme ad altre opere di grande valore, è conservata la meravigliosa icona bizantina della Madonna; o nei pressi del Santuario dell'Annunziata, ad ammirare lo stupendo gruppo marmoreo policromo dell'Annunciazione di Maria, opera di Antonio Gagini (il cui manto, secondo la tradizione, spesso è servito a frenare le colate laviche); potrà gustare il dono più bello che i Saraceni hanno lasciato ai brontesi: il pistacchio; poi, a sera, socchiudendo gli occhi, magari dopo aver sorseggiato il generoso vino locale in qualche bettola, chissà che non ci si imbatta proprio in lui, nel Ciclope Bronte, il figlio di Nettuno, mentre trasporta al re dell'Olimpo uno dei fulmini che da poco ha finito di forgiare nelle infuocate viscere dell'Etna.


Testi e foto tratte da:
 “I luoghi della Ducea dei Nelson attraverso foto e cartoline d’epoca” a cura di Antonio Petronaci

 

 

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